Thinks Pensieri

SALENDO TORNANTI Resistenti Leva militare ‘926 Quegli occhi, quegli sguardi, che sto cercando, che vorrei rimanesse- ro indelebili alla mia memoria e anche alla memoria di chi non vuol far fi nire un momento di storia fondamentale per la nostra democrazia, espressioni semplici, fatti di umanità, di vita, di fatica, di utopie trasfor- mate in un vissuto dedicato a perseguire valori intimi e coerenti. Sono sguardi che devono essere cercati, scovati, raggiunti in appartamenti di periferia e a volte ti chiedono che ti arrampichi sulle curve di una bellis- sima montagna, salendo tornanti oltre il “ponte del diavolo” e poi ancora su, un nucleo di poche case, dove l’odore della paglia depositata nel fi e- nile si fa sentire fi ero e ti domandi come possano resistere al vento quelle tegole di pietra sovrapposte ad una ad una sui tetti delle case. Occhi che con delicatezza assordante ti accolgono nella loro vita, anche se per poco tempo: minuti indimenticabili, coraggiosi. Quegli sguardi che adesso vi- vono ai margini di un mondo troppo veloce, troppo distratto, incapace di capire cosa può essere stata la nostra Italia sessant’anni fa. E quando li rag- giungi, dopo un attimo di esitazione, forse di pudore e anche di sorpresa per essere ancora cercati da qualcuno più giovane, qualcuno che sa di quei giorni solo per la volontà di non dimenticare, allora quei visi lentamente si allargano, si fanno guardare sino in fondo, si lasciano leggere. Riuscire ad annullare l’esterno e ascoltare il racconto di quegli occhi è un’esperien- za forte, intensa e a volte anche dolorosa. Sono sguardi che fi eramente e allo stesso tempo umilmente ti concedono di entrare nelle loro vite, dove ci leggi guizzi di gioia, di passione, determinazione e dopo un secondo velature di rinunce, di sconfi tte, disillusioni e sofferenze. E quelle espressioni a volte si aiutano con le mani a darti tutti gli ele- menti per capire davvero cosa stanno raccontando. Mani che sanno usare gli attrezzi dei campi, che con una stilografi ca e poi una biro hanno ag- giornato i registri della compagnia dei tram, che aiutano la mucca a far nascere vitelli, e hanno imparato a trattare una pianta perché possa dare i suoi frutti migliori. Quelle mani che un giorno hanno accarezzato una donna e che ancora oggi, con tutto il loro vissuto continuano ad acca- rezzare quella donna, luoghi di determinata dolcezza che hanno cullato i propri fi gli, i nipoti. E quando quelle mani ti prendono e ti avvicinano a loro facendoti sentire il proprio sguardo così delicato, così amabile, al- lora, veramente, un fi ume di parole dette in silenzio entra nei tuoi occhi ed è diffi cile quelle parole dimenticarle. E poi gli odori. Che universo l’odore, il profumo di ogni singola casa. Appena varchi la soglia della casa quell’aroma ti accoglie e contribuisce a raccontare una vita, ed è emozionante la sensazione di entrare nell’in- timo di quelle storie. Ma a volte non ci sono più sguardi ad aspettarti, mani a raccontarti la fa- tica, gli anni, magari la passione per la tromba, per il sapere attraverso la lettura di molti libri, oggi ben esposti nella libreria di noce del salotto. Rimangono solo alcuni oggetti a parlarti, dei piccoli quadri, le scarpe, una scatola di legno, un quaderno scritto con meticolosità per non per- dere nemmeno un frammento di memoria, una gavetta in alluminio che diviene il luogo per fermare ogni passione e ogni utopia. E quello sguardo lo cerchi allora in una piccola foto, in un libro abbando- nato, in una prima pagina di un giornale con una notizia trionfante. Cer- chi le mani attraverso gli oggetti che nella quotidianità possono essere stati sfi orati mille volte. Speri che qualche traccia di odore possa ancora abitare in un angolo della casa, magari aprendo un’anta dell’armadio. Il formicolìo allo stomaco aumenta, gli occhi e le narici sono iperattivi nella volontà di immagazzinare profondamente ogni traccia di quegli sguardi, di quelle mani, di quei profumi. Esci di casa, li saluti, riprendi a scendere la montagna con le sue tante curve e un silenzio ti avvolge. Ti rimangono addosso le parole, i rac- conti, l’intensità di un ricordo, ma soprattutto quegli occhi, lo sguardo affettuoso e sincero, le mani forti e stanche e l’odore di una vita che ti accompagna sulla porta di casa. (Lucia Baldini)
Arrivano a coppie o a piccoli gruppi. Chiusi nei loro cappotti scuri, nascondono il loro desiderio di percorrere un lungo viaggio nel tempo, dell’anima. In mano delle strane bustine di stoffa dove, in attesa di essere calzate, giacciono scarpe avvolgenti ed eleganti, calzature che trasformano i piedi in luoghi di seduzione, il filo d’unione tra la mente e il corpo. La sala è in penombra, spesso illuminati da candele. A volte divengono “milonghe” delle sale spoglie, luoghi dove in altri momenti si consumano tipologie diverse di balli, luoghi capaci di trasformarsi in importanti sedi per raduni sociali. Altre volte, al contrario, sono imponenti palazzi, luoghi ricchi di specchi e stucchi, dove il suono si diffonde sulle scalinate e negli androni. Si scambiano saluti. Il popolo del tango è una comunità nomade che migra di città in città, di milonga in milonga e tutti conoscono tutti. Abbandonati i soprabiti i corpi delle donne, avvolti da abiti neri, raramente rossi, di velluto, di satin, emergono con elegante voluttuosità. Gli uomini, spesso, indossano completi neri, scarpe di vernice allacciate. La cerimonia ha inizio. Fuori dalla milonga luci al neon e rumori di auto, dentro un tuffo nel passato, la sensazione di vivere altrove, gli anni ’40, ‘50. Le prime musiche si diffondono penetrando anche negli angoli più remoti. Le orchestre di Canaro, Greco, D’arienzo ipnotizzano i cuori raccontando vite, esili, passioni, malinconie, conducendo sapientemente le coreografie del tango. Un uomo posa, con dolce determinazione, la mano sulla schiena di una donna, lei le avvicina la faccia alla spalla e in silenzio si raccontano le proprie vite, le proprie paure, i propri desideri. I loro corpi si scambiano messaggi, si avvicinano, si lasciano. I piedi diventano il pennino di stilografiche capaci di scrivere lettere d’amore. La liturgia dell’abbraccio si celebra immersa nella musica del pianoforte di Pugliese, del bandoneon di Troilo, della voce di Gardel. Ma il tango è esigente, selettivo, richiede impegno e costanza. L’approccio al tango non permette leggerezza, esige dedizione e trasporto. Il tango non si concede facilmente e la strada da percorrere per raggiungerlo e penetrarlo è lunga e intima. E’ per questo che nell’ambiente del tango il passaggio di persone è vasto, ma solo una piccola parte riesce a rimanere coinvolta pienamente. Negli ultimi 10/15 anni sono arrivati moltissimi “maestri” a trasmettere le loro conoscenze del tango. Ognuno con la propria storia e il proprio bagaglio a raccontare con il corpo e con le coreografie luoghi della memoria, dell’anima. La sensualità che sanno sprigionare ed a volte insegnare, non è altro che il frutto del sapersi leggere intimamente, di aver voglia di raccontare. Tutto il resto è solo elemento scenografico. E’ tarda notte e la serata giunge al termine. Gli ultimi brani ci portano verso la fine del viaggio. Si riprendono gli abiti della “vita normale” ci si incammina verso l’uscita con la consapevolezza di aver vissuto un momento speciale, di aver condiviso luoghi ed emozioni, e con la voglia di salire presto su un altro treno che ci porterà in un altro viaggio di tango. (Lucia Baldini)

evanescenza foto lucia baldini

In questa sezione voglio posare dei pensieri che a volte riescono a trovare una carta pubblica che li accoglie, altre diventa un modo per leggerli fuori dalla mia mente